“Ioapro” a Roma, una delegazione civitavecchiese alla protesta: “Vogliamo tornare a lavorare”

Il racconto di Luca Lupidi, rappresentante dell'associazione di categoria "Il centro del buongusto" e titolare della "Luna sul cucchiaio", un ristorante sito in piazza Saffi. Con lui altri esercenti del territorio

Scontri e petardi, ma anche e soprattutto tanta disperazione e voglia di far sentire la propria voce. C’era anche una delegazione di Civitavecchia alla manifestazione di protesta dei ristoratori a Roma. Insieme a Luca Lupidi, rappresentante dell’associazione di categoria “Il centro del buongusto” e titolare della “Luna sul cucchiaio”, un ristorante sito in piazza Saffi c’erano fra gli altri Erika Giannella, proprietaria di un locale food&beverage in via Monteprappa, Enrico Cimaroli che ha una pizzeria nella medesima zona.

I ristoratori al confronto con la polizia
I cortei a Roma durante la manifestazione

Il racconto. “Inizialmente da piazza San Silvestro dove ci sono stati degli scontri, abbiamo diviso la piazza in due, da una parte la manifestazione pacifica, dall’altra quella più agguerrita – racconta Lupidi – poi da lì è iniziato un corteo cercando un passaggio per piazza Montecitorio, abbiamo camminato per le vie del centro passando da piazza Borghese e arrivando a piazza del Popolo dal Lungotevere. Successivamente abbiamo occupato piazzale Flaminio per pochi minuti, da lì ci siamo spostati mentre camminavamo sui marciapiedi nuovamente in direzione Lungotevere per andare a riprendere via del Corso. Qui le Forze dell’ordine ci hanno caricati senza scrupoli. Assurdo, avevamo liberato la strada e stavamo camminando sul marciapiede al canto di “libertà”. Abbiamo chiesto a gran voce le dimissioni del Ministro dell’interno che non ci ha concesso una piazza in tutta Roma per manifestare pacificamente. Quando la repressione si fonde con la rabbia e la disperazione penso sia l’inizio di una spaccatura sociale netta, confido nella comprensione di chi come noi si è sempre spaccato per ottemperare ai proprio doveri domestici lavorativi e sociali, solo questo può salvarci. La coscienza e la consapevolezza di essere un solo popolo. Vogliamo tornare a lavorare, è un nostro diritto”.