Professor Di Gennaro, gran brutta bestia questo coronavirus.
“Soprattutto perché, come ormai viene ripetuto fino alla noia, è un nemico maledettamente invisibile”
Lei, in qualità di primario di cardiologia e di direttore del dipartimento emergenza e accettazione (Dea), si è sdoppiato in un momento così nevralgico. Lavoro sfibrante?
“Né più ne’ meno di quello degli altri operatori sanitari del San Paolo. Che meritano un encomio specialissimo per l’impegno profuso e che continuano ad operare senza lesinare energie. Ma il mio virtuale abbraccio non va solo a loro”.
Benissimo. Della serie più siamo meglio stiamo…
“Appunto. E allora un plauso da parte mia a tutti coloro che vivono la realtà di quest’ospedale, rivelatosi una splendida e assai funzionale realtà al servizio dei cittadini. Non dimentico, ad esempio, il duro ed essenziale lavoro degli addetti alle pulizie e di chi, a seconda delle proprie incombenze, si spende con uno straordinario senso di responsabilità”.
Quante difficoltà avete dovuto superare. E quali in particolare?
“Prima di affrontate questo argomento che ritengo importante, mi permetta di manifestare la mia personale amarezza per alcuni giudizi emessi senza cognizione di causa dagli immancabili pressappochisti”.
Ci auguriamo che sia acqua passata…
“Certo. Però rimane la tristezza”.
Vabbè, scacciamola con la risposta alla domanda sopraindicata.
“Nessuno, agli albori dell’epidemia, ha tenuto conto che il nostro nosocomio non fosse compiutamente attrezzato per le malattie infettive e che pertanto siamo stati costretti ad affrontare un’emergenza così importante superando enormi complicazioni”.
Significa che secondo i soliti specialisti in supercazzole con scappellamento a destra il San Paolo avrebbe dovuto avere le medesime peculiarità dello Spallanzani?
“Già, proprio così. Siamo comunque riusciti a risolvere problemi apparentemente impossibili e ancora una volta dico, ma vorrei urlarlo, grazie, grazie e ancora grazie al personale tutto per avere contribuito in maniera eccezionale a rendere altamente efficiente la nostra struttura.”
Sa professore? Queste parole illuminano addirittura il suo volto…
“Guardi, è perché non dimentico un aspetto che mi inorgoglisce in maniera particolare”.
Cioè?
“Abbiamo registrato casi di medici e infermieri positivi e immediatamente implementato l’organico. Ma un punto assolutamente rilevante è anche un altro”.
Ovvero? Forza, non faccia stare sulle spine chi legge.
“La scelta di dedicare il reparto di medicina ai pazienti colpiti dal virus penso che sia stata giustissima. Ma nel contempo, e lo sottolineo in grassetto, siamo riusciti nella non semplice impresa di mantenere la funzionalità delle altre “divisioni”. Mi creda non s’è trattato di una banalità”.
Segno evidente che i civitavecchiesi possono andare fieri del proprio ospedale.
“Chi porta l’acqua al proprio mulino non calamita la mia simpatia, però…
Di colpo s’è bloccato. Come mai?
“Pensando che il nostro ospedale stia dando, oltre alle persone colpite da Covid-19, una risposta concreta a tutte le altre con le più diverse patologie, per un attimo mi ha provocato una forte emozione”.
La capisco. Ora s’è ripreso?
“Perfettamente”.
Allora può spiegarci perché l’assessore regionale alla sanità ha considerato Civitavecchia la città laziale più colpita da coronavirus, dopo Roma naturalmente?
“Impossibile fornire una motivazione precisa. Non dimenticherei, però, l’incidenza del notevole traffico portuale, della presenza di Rsa “popolate” da pazienti anziani e dell’inquinamento atmosferico che, si sa, indebolisce la capacità polmonare”.
Insomma non poche le cause di maggiore vulnerabilità. Esatto?
“Possibile”
Qualche dubbio che sia stato trascurato qualcosa?
“Il dubbio è sempre impresso sulla nostra pelle. Diciamo che ci siamo sempre sforzati di operare al meglio. E, se può contare, sappia che abbiamo effettuato tamponi a tappeto. E’ andata allo stesso modo dappertutto? Verifichi e mi faccia sapere”.
“Professor Di Gennaro, qual è il prezzo pagato dal personale sanitario del San Paolo?
“Il coronavirus ha colpito il 9% dei medici e il 13% degli infermieri. Speriamo di fermarci su queste percentuali, ma è un “costo” decisamente alto. Non ci sentiamo, però, eroi. Siamo semplicemente al servizio di chi ha bisogno con professionalità e abnegazione”.