Porto 1. Il grido di dolore della Cpc lacera il cielo agostano immerso nel suo azzurro abbagliante e corre lungo le strade arroventate di una città tanto imbambolata quanto scoglionata da chiacchiere vuote come caverne abbandonate e forse un po’ troppo abituata a registrare lamentosi Sos figli dell’incoscienza di una classe scarsamente dirigente che non ha mai saputo proiettare lo sguardo su iniziative dinamiche, originali e utili per dare un senso probante al presente e soprattutto al futuro da dedicare alle nuove generazioni. E, naturalmente, per favorire una florida occupazione capace di garantire un andamento dell’economia locale non lento ma in continuo e virtuoso movimento. Ma perché quel grido di dolore? Per la drammatica ragione che il porto, ovvero il tanto strombazzato volano del progresso nostrano, sta affogando con scarsissima possibilità di salvarsi da una drammatica crisi. <Stiamo morendo per via di una fase di recessione del settore merceologico senza precedenti, ulteriormente aggravata dalle politiche aziendali di Enel e Rtc>, urla il numero uno della Compagnia Portuale, Enrico Luciani. E poi snocciola un’infinità di dati macro e microeconomici letali per la ”camalli’s house” a seguito delle scelte dell’Ente Elettrico che si riverberano negativamente sulle imprese metalmeccaniche specializzate nella manutenzione degli impianti; sui servizi tecnico-nautici (piloti e ormeggiatori) e sulla società Minosse. Insomma roba da strapparsi i capelli e ancor di più da far scendere un mare (visto che stiamo parlando di porto…) di lacrime. Un’attenzione (vabbè, chiamiamola pure così…) particolare Luciani la rivolge alla Rtc, colpevole, a suo accusare, di non aver raggiunto in dieci lunghissimi anni l’obiettivo dei numeri di container previsti dal piano operativo. Botte da orbi a destra e a manca, dunque, da un Luciani certamente preoccupatissimo ma pure scatenato secondo il suo famoso clichè di trascinatore di “compagni”, che a tratti ci ha risvegliato il (gradevole) ricordo dell’ancor giovane ma vulcanico leader di una sinistra con la S maiuscola, lontanissima parente dell’odierna ormai ingoiata dal globalismo in giacca e cravatta e con i capelli impomatati. Allora? Comprensibile la preoccupazione dell’ottimo Enrico ma, a prescindere dalle importanti sottolineature riguardanti Enel, Rtc e Minosse, non possiamo esimerci di rivolgergli una domanda riguardante i suoi, pur comprensibilissimi, lamenti per la… fuga delle merci dallo scalo marittimo. Eccola: a che punto ci troviamo con la strombazzatissima darsena grandi masse? Caro Luciani, lei sa benissimo che per la millesima volta affrontiamo quest’argomento e sempre abbiamo cercato di ottenere delucidazioni. Mai arrivate però, neppure per grazia ricevuta. Esimio presidente, prima o poi salterà fuori da qualche cilindro magico un’anima pia (seppure non lo fosse, fa nulla) che si prenda la briga di spifferare (ovvero spiegare) a cosa siano servite le vagonate di euro stanziate per la struttura suindicata, la quale (grazie infinite per l’ennesimo regalo ambientale!!!) ha divorato una bella fetta di costa (compreso quel magnifico, incomparabile tratto di mare che “baciava” la famosa Buca di Nerone) e, a quel che si bofonchia negli ambienti competenti, si trova tuttora lontana (o lontanissima?) dal traguardo della realizzazione?
Porto 2. Ma tu guarda, per lo strafottentissimo “gioco” (suvvia, chiamiamolo pure così) degli opposti estremismi, in questo scalo marittimo, dove evidentemente navigano le contraddizioni (Traiano si starà rigirando nella tomba…), il merceologico piange lacrime amare mentre il crocieristico se la ride a crepapelle. Il perché è presto detto: nel 2017 il nostro porto ha registrato il maggior numero di turisti in partenza conquistando il primato nazionale. Performance notevole ma, a dire il vero, siamo ormai abituati ad imprese così luminose: da anni infatti Civitavecchia (in competizione con Barcellona) ospita un grandissimo numero di “città galleggianti” abitate da milioni di persone che, dopo l’attracco, prendono d’assalto la stazione ferroviaria per raggiungere poi la Capitale. E questo, pur essendo un “aspetto” dal quale non si può prescindere, offre lo spunto per una sana riflessione. Con annessa un’osservazione solo apparentemente banale: il crocierismo così “robusto” è una pingue risorsa per la città oppure un “fenomeno” talmente fatuo da fare il… solletico ai negozi e ai ristoranti? La risposta giusta? Sicuramente la seconda che abbiamo ipotizzato.

La ricetta di Perello. In una recente intervista televisiva il consigliere comunale Daniele Perello, “armato” di invidiabile creatività e apprezzabile dimestichezza con le iniziative da attuare per rendere appetibile il territorio civitavecchiese a chi ci mette piede, ha evidenziato la mancanza di una virtuosa strategia indispensabile per rimpolpare la città di tangibili e solidi benefici. Ha sostenuto altresì Perello che senza una indissolubile sinergia tra Authority e Comune è chimerico credere che l’economia cittadina possa ricevere un sostanzioso impulso dai tantissimi passeggeri che qui sbarcano, decidono di non affrontare il viaggio per Roma, girovagano senza fissa dimora e forse pure “scazzatissimi”, infine tornano a bordo con la consapevolezza di aver inutilmente bruciato il proprio tempo libero. Come dire: interesse zero verso la città (che pure alcuni luoghi attrattivi per storia e bellezza ne conta, epperò, mannaggia!, non sono pubblicizzati come meriterebbero) e rarissimi incontri ravvicinati con gli operatori commerciali. Allora? Sarebbe o no ora che si capitalizzasse la consolidata leadership mediterranea? Che è e resta bella anzi bellissima. Ma se poi non balla?
Porto 3. Non possiamo non continuare a parlare dello scalo marittimo. Scusateci ma proprio non possiamo: oggi più di sempre è la potentissima calamita che attira l’interesse generale per gli importantissimi (e per infiniti versi vitali) obiettivi sociali, occupazionali ed economici. Ebbene, tanto per tornare ai fottuti tempi magri dello scalo marittimo, i dati nazionali sottolineano in rosso, purtroppo, il traffico lumaca dei containers e addirittura l’assenza del terminal civitavecchiese nella nuova rotazione del servizio “Thyrrenian” riguardante i teu. Rotazione che coinvolgerà i porti di Gioia Tauro, Palermo, Cagliari, Napoli e ritorno in quello calabrese. Assenza sorprendente oltreché penalizzante questa, tanto più se si considera che il suindicato piano (del traffico containers) è stato varato da Msc che, guarda caso, detiene la concessione per la gestione della “stazione” dei contenitori. Però c’è un… però che spiega una scelta così netta: nel 2018 nel nostro scalo sono stati movimentati 108.402 teu che, in confronto ai 2.609.138 di Genova e ai 2.328.218 di Gioia Tauro, sono una lucetta praticamente invisibile nel firmamento nazionale del settore. E, tanto per chiudere il discorso, nella complessiva classifica italiana riservata ai terminal containers lo scalo civitavecchiese figura addirittura al 12° (dodicesimo!) posto, che se non è maglia nera ci manca pochissimo. Il piazzamento lascia perplessi e addirittura increduli se si pensa che la vicinanza di Roma avrebbe dovuto e potuto agevolare risultati corposi e soddisfacenti. Cos’altro resta da dire? Solo una curiosità: i responsabili di tale gigantesco flop (super dirigenti e top manager considerati non solo espertissimi ma addirittura simulacri della portualità) continuano ad essere imbottiti di stipendi d’oro?
Porto 4. E per concludere ‘sta circumnavigazione del ca…volo, la cattivissima notizia (et voilà, lo spirito della rubrica è rispettato!) per i “proprietari” di Palazzo del Pincio: non potranno infilare in cassaforte i due milioni previsti per l’annualità 2015 in virtù della “gentile” concessione della “benefattrice” Autorità Portuale. E’ stato difatti accolto il ricorso presentato dall’Ente di Molo Vespucci, relativo all’accordo sottoscritto dagli allora commissario e sindaco, Monti e Cozzolino.

L’accordo Monti-Cozzolino. Va comunque sottolineato (aspetto non trascurabile) che detto accordo è stato ritenuto legittimo e quindi valido dal Consiglio di Stato, ma per i giudici il contributo era subordinato alla preventiva conoscenza, condivisione e approvazione di un programma ad hoc di interventi che il Primo Cittadino e i suoi fidi grillini avrebbero dovuto predisporre. Così non è stato e pertanto neppure una goccia dell’agognata pioggia di euro, attesa da quattro anni, ha “bagnato” il Municipio. Se non fosse che ne risentano i conti assai poco floridi dell’Amministrazione Comunale, verrebbe da dire che l’inosservanza di uno dei punti essenziali del “famoso” contratto sia stata un beffardo scherzo del Cozzo…lino!