Caso Vannini, la Cassazione: “Fosso stato soccorso non sarebbe morto”

Lo scrive la prima sezione penale della Cassazione con la sentenza nella quale si spiega perché è stato disposto, lo scorso 7 febbraio, un processo d’appello bis per Antonio Ciontoli e i suoi familiari

“Una condotta omissiva fu tenuta da tutti gli imputati nel segmento successivo all’esplosione di un colpo di pistola, ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli, che, dopo il ferimento colposo, rimase inerte, quindi disse il falso, ostacolando i soccorsi”. Lo scrive la prima sezione penale della Cassazione con la sentenza nella quale si spiega perché è stato disposto, lo scorso 7 febbraio, un processo d’appello bis per Antonio Ciontoli e i suoi familiari. Marco Vannini “rimasto ferito in conseguenza di quello che si è ritenuto un anomalo incidente — spiega la Suprema Corte — restò affidato alle cure di Antonio Ciontoli e dei di lui familiari”. Dunque tutti “presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente: si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero una prima volta il numero telefonico di chiamata dei soccorsi”. “Antonio Ciontoli e i suoi familiari assunsero volontariamente, rispetto a Vannini, rimasto ferito nella loro abitazione, un dovere di protezione e quindi un obbligo di impedire conseguenze dannose per i suoi beni, anzitutto la vita”. “Una mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto”.